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Scrivere per... un concerto

Certo, le recensioni dei libri sono quelle più frequenti. Poi ci sono quelle dei film. Ma in questi giorni ho scritto la mia prima recensione per un concerto. Non mi basta mai dire "mi è piaciuto" di qualcosa che in realtà mi ha regalato il meglio del meglio delle emozioni. Perciò scriverne è mi serve per ricambiare, come se potesse in parte restituire la bellezza che ne ho ricevuto all'autore. Al cantautore, in questo caso. Insomma, ecco qua.

Gianmaria Testa a Putignano (Pisa).

I colori spenti, tra il grigio e il beige, accolgono una festa paesana indirizzata ai colori comunisti. Bandiere rosse ravvivano lo sfondo sventolando placide al ritmo di un vento stanco di settembre. Un bar temporaneo, gestito da adolescenti e pensionati, borbotta e ridacchia, tra un caffè e una grappa. In muratura un palco raccolto, chiuso sui tre lati, umile e in disparte. Di fronte il disordine di gazebo installati per chissà quale iniziativa e poi una distesa di sedie, in plastica, anonime. Alcune bianche, altre verdi. Si aspetta parlando. Ci sono i rumori degli aerei che da Pisa partono, che a Pisa arrivano, e quelli dei treni, che
transitano sullo chemin de fer adiacente allo spazio ricreativo. Poi ci sono le campane, perché un paese non è un paese senza il suo campanile e i suoi rintocchi. Un frastuono sommesso e scomposto. Le sedie si riempiono, tra autorità locali e artisti venuti ad imparare il mestiere, tra fotografi e intellettuali, tra appassionati e passanti.
Sale sul palco che nemmeno ci se ne accorge. È alto e magro, ha capelli e baffi grigi, occhiali tondi e sempre lo accompagnano i jeans slavati, la maglia paricollo, la giacca spenta. Monocolore con qualche sfumatura.
Certo se mi passasse accanto, se non avessi mai ascoltato le sue canzoni, non mi soffermerei ad indagare su di lui. Non avrebbe mai attratto la mia curiosità, fameliche di eccezioni ed eccezionali sguardi. Invece conosco la sua musica, ma soprattutto mi è familiare la sua voce. Una voce che non si può liquidare in un cd, in un ascolto in differita. Non ce la fai. Se l’hai avuta in dono una volta dal vivo, non puoi accontentarti del suono asettico che produce quando lo ascolti attraverso lo stereo. E così comincia parlando, salutando il suo pubblico. E già solo con quella presenza discreta e imponente elimina ogni altra fonte di distrazione. Poi la prima canzone. Non c’è niente sul palco, lui e le sue chitarre, un manifesto sul fondo. I suoi colori spenti.
E la voce allora si prende ingorda tutto lo spazio, occupando ogni millimetro di questo palco, dilaga sulla platea assorta e avvolge come nebbia in un abbraccio umido.
Nuovo da lasciare un gusto in gola,
nuovo come una parola che non so.
Nuovo che se chiamo e non rispondi molto forte,
molto più forte ti chiamerò.
Penso a mia figlia, alla novità in ogni senso che ha rappresentato. E il soffio delle sue parole lanciate nude su di me si trasforma in un nodo all’altezza della carotide che non mi lascerà per tutta la durata di questo concerto. Così popolare, così elitario.
Quando inizia a descrivere l’Ombrone e la sua foce, le impressioni che ne ha ricevuto e le sensazioni, so già quale canzone interpreterà. È quella che ogni volta mi fa pensare ad una precisa persona, quella con cui ci siamo dati infinite volte la possibilità di un ritorno e per altrettante volte ci siamo allontanati e persi. E poi persi, definitivamente. Ma le sensazioni come solchi impressi ai margini restano forti e suscitano ancora sobbalzi e crepe nel cuore se solo si risvegliano dal torpore.

Ah certi piccoli fiumi di bassa pianura
che arrivano dritti nel mare

e chissà se si accorgon di niente
o si lasciano semplicemente arrivare
assomigliano a certe tristezze
che senza preavviso
allagano i laghi del cuore
e alla solita acqua ci mischiano un'acqua
che arriva da non si sa dove
E ti ho incontrata sperduta
che non c'era più niente da dire
neanche l'ombra di un mezzo saluto
in quegli occhi che pure
mi avevan guardato guardare
non importa quanto tempo è passato
ce ne siamo lasciate noi due
di tracce sul cuore
che nessuna tristezza dovrebbe da sola
dovrebbe poter cancellare
E son ritornato qui
in verità,
per contraddirti
e non mi allontanerà questo silenzio
e la distanza di una giacca abbottonata
sono tornato qui
perché si fa di rincontrarsi
e non mi scoraggerà
nemmeno il vuoto
che ci piglia e che non ci fa più meraviglia
sono tornato qui perché…
certi piccoli fiumi di bassa pianura
che arrivano dritti nel mare
io lo so, non si accorgon di niente
ma si lasciano semplicemente
arrivare
Trattengo la mia personale lacrima. Cerco di limitarmi al valore oggettivo della sua arte. Poi penso che non c’è niente di oggettivo nell’arte e tantomeno nel valore. Mi perdo nella sua capacità di forgiare il suono, di amalgamarlo e ora di tirarlo fino a farlo stridere. Ma quando tocca i toni più bassi con la forza di un’interpretazione autentica, allora mi arrendo e lascio che quel suono impastato e vischioso si attacchi alle mie viscere come se fosse solo un rapporto materico. Come se parlasse direttamente agli organi, come se sua fosse in quel momento la mia stessa pelle.
Poi ci dice dell’assurdità atroce di chi respinge gli esseri umani da dei confini, immaginando un noi che di fatto non esiste, perché non si sa a cosa possa corrispondere.
e sono già stato qui
forse in qualche altro incanto
sono già stato qui
e misuravo il passo
ch'è meglio non far rumore quando si arriva
forestieri al caso di un'altra sponda
stranieri al chiuso di un'altra sponda
dal mare che ti rovescia come una deriva
dal mare severo che si pulisce l'onda
e sono venuto qui
tornando sul mio passo
sono venuto qui
a ritrovar l'incanto
l'incanto in quegli occhi neri di sabbia e sale
occhi negati alla paura e al pianto
occhi dischiusi come per me soltanto
rifugio al delirio freddo dell'attraversare
occhi che ancora mi sento accanto
Mi sento a lui uguale nel pensiero e nella sensibilità. Quando senti una corrispondenza con qualcuno espressa in modo sublime da quella stessa persona in modo artistico, ti senti meno solo. Ecco il perché del piacere di trovare un cantautore che ami, ecco il perché di uno scambio che scambio non è. Diminuisce la distanza e pensi di essere capito. Finalmente compreso.
Poi si arrotola completamente sul microfono, lui, dalla sua altezza, si aggrappa a quel piccolo oggetto nero, che gli pende dalle labbra, come una protesi, come sussulto della parola. Il corpo è concavo, si fa conchiglia per la chitarra, ingloba la musica e restituisce magnetica attrazione. Ha dato una melodia ad una poesia. La poesia ben nota, niente di nuovo da apprendere, ma mi ferisce perché adesso che sono madre la rileggo sotto un altro aspetto.
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.
Poi il suo racconto vola, si parla di guerra, quella che non si vorrebbe né si dovrebbe mai fare, poi la luna intravista altissima e potente nel cielo piemontese. Si arriva sempre troppo presto alla fine. È un incontro, questo, che lascia ben più di una nota a colmare una nostalgia. Lascia il passo e l’incanto. E una ninna nanna, per non dimenticare mai di parlare il linguaggio dei bambini, affinché loro possano ancora insegnarci a vivere la vita come si deve.


E se tu dormi potrai vedere
La meraviglia che ancora non sai
La vede soltanto chi dorme davvero
Soltanto i sogni non dormono mai.

Tag(s) : #Musica, #Gianmaria Testa, #Concerto, #Voce
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